Batteri e robot, bucce di banana e intelligenza artificiale, escrementi di elefante e computer. Sembra un futuro lontano mille anni, distopico o miracoloso. Invece è qui, alla Biennale Architettura di Venezia. Un paesaggio intelligente, sensibile, vivo. Non una mostra sul futuro. Una riscrittura. Intelligens. Natural. Artificial. Collective, curata da Carlo Ratti – mente del Senseable City Lab al MIT- rompe il solco delle ultime edizioni, assorbe i grandi temi (sostenibilità, decolonizzazione, genere) e li trasforma.

The Third Paradise Perspective – Foto di Marco Zorzanello, Courtesy La Biennale di Venezia
Il punto di partenza non è più la crisi da evitare, ma la condizione da cui ripartire. La parola chiave: adattamento. Non è resa. È lucidità. È sapere che non si torna indietro. Si progetta da qui. Sala buia, sigillata, calda, all’Arsenale si entra a fatica. Vasche d’acqua, macchine d’aria condizionata che scaldano trasformando lo spazio in un girone infernale. Nel buio, sul fondo il Terzo Paradiso di Pistoletto fa riflettere. Poi, nella sala dopo, una parete curva di mattoni lagunari. Sul retro, una cavità frattale ospita colonie di batteri. Patricia Urquiola, insieme a Colomina, West, Koller e Weigley, ci parla del futuro prossimo: la curva demografica cala. I batteri, invece, crescono poco e vivono bene. E ci insegnano e ci mostrano la strada. Nel cuore dell’Arsenale, tra terra cruda e stampa 3D, funghi e algoritmi, prende forma un’idea di architettura che supera l’edificio. Qui si parla di habitat. Non solo umano. Il salto è doppio: verso il biologico (batteri, piante, materia viva) e verso il digitale (sensori, AI, reti). Natura e macchina (ci sono anche i robot) non si combattono più. Collaborano. E il paradosso è servito: la Biennale più tecnologica di sempre è anche la più terrestre. E subito si capisce che le soluzioni più avanzate nascono da intuizioni arcaiche. Da quello che abbiamo già.

Nel padiglione del Belgio l’architetto Bas Smets e il biologo Stefano Mancuso propongono un nuovo dialogo tra natura e architettura
La nuova materia è quella vecchia: recuperata, rivisitata, reinventata. Anche quando è piccola, leggera, radicale come il grafene e la fibra di banana, materiali che possono cambiare l’architettura a livello molecolare. E mentre in Ucraina la computer vision ricostruisce città distrutte dalla guerra, ricordandoci che ogni tecnologia ha due facce, il progetto PNAT – fondato dal neurobiologo Stefano Mancuso – porta in scena l’intelligenza vegetale. Nasce così la Fabbrica dell’Aria.2 una serra intelligente che purifica l’ambiente. Le piante, qui, non sono ornamento. Sono alleate. E poi c’è un caffè migliore di quello del blasonato Florian: al Canal Café si beve espresso fatto con l’acqua dei canali, depurata sul posto. Un gesto semplice, alchemico, che restituisce alla laguna il suo sapore. Il tutto sotto l’occhio attento dello chef Davide Oldani, che firma l’equilibrio aromatico di questo espresso anomalo, perfettamente veneziano. Un modo per finire con gusto questa mostra che quest’anno finalmente non vola. Atterra. E abita.
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