Quando si entra in un hotel, la prima sensazione è sempre termica: troppo caldo o troppo freddo. Subito dopo arriva la percezione luminosa. Ma esiste un parametro ancora più determinante – invisibile, silenzioso, quasi mai nominato – che incide in maniera profonda sul benessere degli ospiti: la qualità dell’aria. Come spiega il neurobiologo vegetale Stefano Mancuso “è uno dei fattori più importanti per la nostra salute, eppure raramente ci si dedica con la stessa attenzione che riserviamo alla temperatura o alla luce. Le piante ci insegnano che respirare bene è il primo passo per vivere meglio”.
Oggi gli impianti di climatizzazione gestiscono temperatura e umidità con estrema precisione, eppure raramente si affronta il tema degli inquinanti presenti negli ambienti chiusi. Composti organici volatili rilasciati da arredi e tessuti, polveri sottili emesse da stampanti o cucine a gas, spore e microrganismi che proliferano in condizioni di ricambio insufficiente: tutto questo è parte della quotidianità respirata, anche negli spazi più curati. In questo contesto l’idea di introdurre un sistema come la Fabbrica dell’Aria – progettata da PNAT, spin-off fondato da Stefano Mancuso insieme all’architetto Antonio Girardi e alla botanica Camilla Pandolfi – rappresenta un cambio di paradigma.
Pensata inizialmente per grandi ambienti, oggi nella sua versione più piccola (Fabbrica dell’Aria 2.0 in esposizione alla Biennale fino a fine novembre) diventa un jolly perché non ha bisogno di impianti per funzionare. Diventa così un purificatore esteticamente ben risolto e funzionale al tempo stesso: una teca abitata da piante e microrganismi che lavorano in simbiosi, trasformando gli inquinanti in ossigeno puro. Un dispositivo scientificamente validato, capace di abbattere fino al 70% delle sostanze nocive al primo passaggio, e completamente autonomo grazie a un sistema di gestione IoT che regola acqua e illuminazione per settimane. Collocata in una lobby, in una zona lounge o persino in corridoi ciechi, la Fabbrica dell’Aria diventerebbe più di una dotazione tecnica: sarebbe una dichiarazione di intenti. Un segnale tangibile che il benessere dell’ospite non viene misurato solo in gradi centigradi, ma in qualità di respiro. Il futuro dell’ospitalità non deve essere soltanto climatizzato. Deve anche essere ossigenato
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