Progetti olimpici e alberghi che diventano teatri in costante mutamento. In mezzo qualcosa di personale, come la ricerca di trovare “luoghi ideali”. Perché anche negli incontri di puro lavoro bisogna trovare il mondo perfetto.
In questa lunga intervista con InOut Review Marco Piva spiega le sue visioni legate all’ospitalità. Perché oggi ridurre tutto al solo albergo appare limitativo, mentre l’industria cambia a ritmo serrato. Con una curiosità immensa che deriva dai viaggi e dal “viaggio” che l’architetto ritiene fonte di esperienza di vita.

Architetto, come possiamo definire oggi l’albergo moderno?
L’albergo, nella mia visione, è un teatro dove metti in scena servizi, eventi e funzioni. Si tratta di una macchina studiata per poter essere governata in modo dinamico e flessibile. Non è più concepibile avere degli spazi dedicati esclusivamente ai meeting e congressi, ma devono essere degli spazi che si possono prestare a essere interpretati funzionalmente in base alle stagioni, alle attività e soprattutto anche nel rapporto instaurato con il contesto urbano o territoriale in cui l’edificio è inserito, quindi l’hotel diventa un connettore anche di servizi aperti alla città e ai suoi dintorni.

Una visione che riguarda anche le camere d’hotel. La chiamiamo evoluzione necessaria?
Le camere di hotel diventano dei luoghi molto più vicini a una sorta di “residenza a tempo”, con una flessibilità funzionale interna importante, articolandosi con spazi più generosi per consentire la possibilità di essere vissute pienamente.
Per quanto riguarda i canoni estetici, invece, ogni progetto è un’avventura a sé, un racconto di volumi, forme e materiali che fluisce armonicamente e la cui estetica è sempre esclusiva per il luogo per il quale viene creata, considerando alla base i principi di eleganza, funzionalità e flessibilità.
Parlare di racconto e avventura per le camere appare qualcosa di distante da quello visto sino a oggi. E Piva fa dell’ospitalità di livello un tema imprescindibile.

Oggi palazzi storici vengono riconvertiti in alberghi di lusso. Esiste un restyling ideale per queste strutture?
Il restyling “ideale” è quello che preserva l’identità del luogo, il cui progetto avviene nel totale rispetto del patrimonio edilizio e architettonico esistente, occasione di dialogo con la modernità. Qui gli esempi possono essere tantissimi, dall’ultimo inaugurato, Palazzo Cordusio nell’ex sede delle Assicurazioni Generali a Milano, a Palazzo Nani a Venezia, Palazzo Tirso a Cagliari o il Palazzo del Touring Club ancora a Milano. Tutti questi adesso sono hotel a 5 stelle nei quali però permangono elementi della loro storicità. Parliamo di un restyling rispettoso delle radici, che abbraccia il presente e si proietta nel futuro.

Come si progetta un hotel per renderlo flessibile e adatto a ogni tipologia di clientela?
L’hotel è sempre più un luogo strategico per accogliere e mettere in relazione i viaggiatori con il contesto in cui è inserito, sia sotto l’aspetto territoriale, sia sotto quello culturale. L’albergo è sempre più una “macchina ricettiva” a 360 gradi, in cui le funzioni tradizionali dell’ospitalità e della ristorazione si integrano con attività di meeting e congressuali, con funzioni espositive ed eventi e possibilmente terrazze e giardini che si aprono alla vista dell’intorno urbano o del paesaggio.
Progettare un hotel flessibile e adatto a intercettare i bisogni di diverse tipologie di clientela richiede quindi una combinazione di considerazioni architettoniche, di servizio e di gestione.

Oggi lounge sempre più moderne si aprono alla clientela esterna. Stanno diventando luoghi d’incontro?
Come anticipato, la tendenza generale vede aprirsi sempre più il mondo albergo alla città, la quale in risposta usufruisce degli spazi dell’albergo, sia di quelli specificatamente dedicati ai meeting, sia i ristoranti e le zone comuni. Un vero e proprio luogo di utilizzo sociale. A Palazzo Cordusio, ad esempio, quello che una volta era un parcheggio, una corte aperta subito all’ingresso del palazzo, è stato chiuso con una struttura vetrata che ora ospita il “Giardino Cordusio”.

Come dev’essere pensato l’interior design?
Credo moltissimo all’architettura degli interni, che non è un semplice fare arredo ma è un lavoro di continuità e relazione con le forme dell’architettura attraverso la proposta di nuove idee: è un lavoro di equilibrio che si ottiene studiando le operazioni e il contesto che le contiene. Molte parti dell’interior design vengono da me concepite come se fossero parti dell’architettura configurando la “pelle interna” dell’organismo architettonico:le porte, le cucine, gli armadi si “fondono” con gli ambienti e costituiscono gli elementi di continuità tra edificio e spazi abitabili. Per quanto attiene all’importanza e al valore di elementi di arredo “iconici”, nel nostro studio non operiamo alla ricerca dell’opulenza o di un effetto wow, ma interpretiamo e caratterizziamo l’unicità di ogni singolo intervento, selezionando materiali di altissima qualità, durevoli e sostenibili.
La fusione delle strutture con il territorio e l’equilibrio emergono sempre più in queste creazioni. Piva in questa intervista non vuole rincorrere “l’effetto wow” e gioca molto su qualità e precisione nei vari interventi.

Quanto pesa oggi e come cambierà l’applicazione della tecnologia negli ambienti alberghieri?
L’inserimento della tecnologia negli ambienti alberghieri dovrebbe essere mirato a migliorare l’esperienza complessiva degli ospiti, fornendo al contempo efficienza operativa e sostenibilità. Integrando queste tecnologie in modo oculato, gli hotel possono offrire un’esperienza migliore agli ospiti, migliorare l’efficienza operativa e ridurre l’impatto ambientale.

Quali le differenze sostanziali che incontrate nel progettare hotel in Italia e all’estero? Pensiamo per esempio a Paesi ad alta capacità di spesa.
La tensione verso il “l’estero” deriva dalla mia inesauribile curiosità che ha messo al centro dei miei interessi più profondi “il viaggio” come una fondamentale e fondante esperienza di vita. Cerchiamo di implementare una certa metodica che può essere utilizzata nei vari contesti, sicuramente gli approcci sono diversi, in quanto diverse sono le culture di riferimento. Dagli Stati Uniti al Giappone, dalla Russia, al Middle East e alla Cina, ci si confronta con un’organizzazione del lavoro diversa e più complessa. Il processo progettuale, ovunque si operi, parte sempre dall’acquisizione e dalla metabolizzazione dello “spirito” del luogo.

Milano e le Olimpiadi 2026. Su quali nuovi progetti state lavorando?
Uno tra tutti, sicuramente il progetto di rigenerazione urbana Syre, in costruzione a Milano in zona San Siro, un intervento paesaggistico e architettonico che restituisce un’anima a una zona disomogenea della città. Il progetto valorizza l’identità storica del verde e prevede la realizzazione di tre complessi a funzione residenziale, due per edilizia libera (con una torre alta 22 piani), e uno per edilizia sociale, che verranno completati per i Giochi Olimpici Invernali Milano – Cortina 2026.

In chiusura di intervista, architetto, spiega ai lettori che cosa osserva quando lei viaggia e soggiorna in hotel?
Sono un viaggiatore che principalmente per motivi di lavoro vive spesso in alberghi sparsi per il mondo, alberghi che scelgo con attenzione perché, anche se per una sola notte, devono avere quel carattere e quelle spazialità che alludano ad una sorta di “mio luogo” in terra straniera, ambienti dove risiedere, incontrare persone e lavorare sentendomi a mio agio.

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