Accogliere ma anche stupire, in una struttura che sappia abbinare all’estetica le sensazioni, che sappia colpire immaginazione e sensi senza scadere nel kitsch. L’effetto sorpresa negli hotel si lascia finalmente alle spalle decenni di opulenza sfarzosa per trasformarsi in una sensazione più sottile e colta, con architetture vicine al linguaggio spazio-temporale del contesto, che accompagnano l’ospite alla scoperta graduale prima della hall, poi delle aree sociali e infine delle camere.

Ambienti facenti parte dell’unicum hotel, certo, ma capaci ognuno di generare l’inaspettato.

E l’abilità degli architetti sta proprio in questo: saper usare elementi compositivi audaci, design innovativi, materiali locali reinterpretati in chiave moderna per trasformare l’albergo stesso da semplice contenitore di turisti a co-protagonista dell’esperienza di viaggio.

“Non sono interessato a un effetto wow puramente estetico e mediatico – precisa subito Marco Piva – e per me l’aspetto di domesticità e vivibilità degli spazi in contesti legati all’ospitalità è importantissimo, per cui per me il concetto dominante è quello di ‘casa lontano da casa’”.

Concorda con lui, ma solo in parte, Massimo Giordano: “Far sentire gli ospiti come a casa – ci spiega – è cruciale per garantire il loro comfort e il benessere, ma allo stesso tempo l’effetto wow è fondamentale per catturare immediatamente l’attenzione dei viaggiatori”.

“L’importante – aggiunge David Morini di Pelizzari Studio – è coniugare il comfort dell’ospite con soluzioni estetiche che siano d’impatto e che lascino il segno”.

“In un Paese come l’Italia, dove il vissuto culturale e tradizionale svolge un ruolo cruciale – sottolinea Giordano -, la progettazione di una struttura ricettiva deve cercare un equilibrio tra lo stupore e la domesticità e un approccio che integra la bellezza naturale del paesaggio italiano con tocchi di modernità può creare un’esperienza visivamente sorprendente”.

Raccontare una storia

L’essenziale, aggiunge, è che l’effetto wow non sia fine a se stesso, ma che contribuisca a raccontare una storia che rispecchi l’identità del luogo.

Una storia che, in molti casi, viene calpestata. “Assistiamo a interventi di ristrutturazione non curanti del contesto – osserva Carlo Donati -, in cui prevale la ricerca dello spettacolare, ma che producono risultati ambigui. Io le chiamo ‘architetture Frankenstein’: un trapianto di cervello in un corpo diverso. Il risultato finale può anche piacere, ma fa piazza pulita della cifra e dell’identità local”.

Identità che va assolutamente salvaguardata anche secondo Anna Palucci, che snocciola le sue parole chiave quando intraprende un nuovo progetto: “Autenticità, unicità, esperienza e coinvolgimento – le elenca così -. L’ospite va trasportato in una dimensione differente nel momento stesso in cui varca l’ingresso dell’hotel e in un Paese come l’Italia, con i suoi scenari naturalistici e architettonici che tolgono il fiato, questi aspetti si fondono o entrano a far parte del concept stesso”.

Anche per Donati un sostantivo chiave è senza dubbio autenticità, cui va unito ‘local’, “in antitesi all’international style imperante”.

A rimarcare la necessaria liaison della struttura ricettiva, qualunque sia la sua categoria, con il territorio in cui è inserita intervengono anche Luca De Bona e Dario De Meo, rispettivamente architetto e designer dello studio Debonademeo. “Il piacere – rimarcano – è soggettivo, mentre il senso del bello è oggettivo e supera i confini culturali e geografici. Un hotel – continuano – deve ambire a un senso di bellezza universale, ma questa bellezza sarebbe arida se non attingesse le sue peculiarità dal territorio e dalla tradizione”.

Obiettivo spiazzare l’ospite

Per Piva quando si progettano luoghi dell’ospitalità il concetto chiave è quello di esperienza: “Donare un’esperienza nella quale potersi sentire come a casa – spiega -, questo è l’effetto wow a cui puntiamo”.

L’obiettivo è di spiazzare il visitatore: “Si immagini di vedere un edificio monumentale di fine ‘800 – ci racconta -, cosa si aspetterebbe entrando? Probabilmente degli interni che rispecchino l’edificio esterno. E invece si trova davanti un design assolutamente contemporaneo, ma allo stesso tempo rispettoso della storia che rievoca. Non è forse un effetto sorpresa questo? Gli alberghi che realizzo – continua – sono come dei teatri, all’interno dei quali creo le condizioni per accogliere e far star bene l’ospite”.

Dev’essere, dunque, il senso di confidenza a prevalere: “Per noi – spiegano De Bona e De Meo – è fondamentale che ogni tipo di viaggiatore possa accedere all’hotel e sentirsi ‘a casa’ non perché ritrova lo stesso ambiente che ha lasciato a chilometri di distanza, ma perché l’ambiente ospitante riesce a dialogare con la parte più intima dell’individuo attraverso una serie di requisiti che eliminano le barriere e favoriscono, appunto, il senso di confidenza”.

Diversa la posizione di Morini e Donati, che fanno una distinzione tra tipologie di viaggiatori: “Chi viaggia spesso per lavoro – sottolinea Donati – vuole una situazione più ‘homey’, mentre chi è turista occasionale cerca l’evasione, l’inaspettato”.

Sorprese in camera

Effetto wow che, entrati in camera, si può tradurre anche in plus “come la spa en-suite” sostiene Donati, o come “i trattamenti corpo su sedute multifunzione che da chaise longe si trasformano in lettini da massaggio – spiega Palucci -, oppure ancora attrezzature per il fitness, o uno schermo cinema”.

Anche l’lluminazione personalizzata può creare l’inaspettato. “Ad esempio – spiega Giordano – un sistema che permetta agli ospiti di regolare l’atmosfera a seconda dell’umore può trasformare l’esperienza di una stanza. Luci soffuse per rilassarsi o illuminazione vivace per lavorare sono dettagli che fanno la differenza”.

Anche il verde può sorprendere, se si tratta ad esempio di piccoli giardini verticali, così come le esperienze sensoriali, “l’uso di profumi personalizzati – dice ancora Giordano – e sistemi audio che permettano di ascoltare musica o suoni della natura”.

La tecnologia può certamente venire in aiuto: “Penso a soluzioni come specchi intelligenti, che possono visualizzare previsioni del tempo o aggiornamenti di notizie, e sistemi di controllo vocale per gestire la climatizzazione e l’intrattenimento”.

Attenti, però, a non fare delle soluzioni tecnologiche la cifra stilistica dell’hotel: “La loro stessa natura – sottolineano De Bona e De Meo – le porta a essere tanto sorprendenti, quanto facilmente destinate a diventare presto obsolete. Gli spazi dell’ospitalità dovranno dunque essere dotati dei migliori device tecnologici senza che essi determinino l’indice di gradimento dell’ambiente stesso. La vera sfida è, dunque, progettare ambienti alla moda, ma mai modaioli, duttili al cambiamento dei gusti e capaci di reinventarsi”.

Una volta arrivato a sorprendersi, l’ospite può decidere se custodire lo stupore dentro di sé o condividerlo con gli altri: “Per me – conclude Piva – l’hotel deve anche poter creare connessioni e facilitare la socialità. L’aspetto sociale sta diventando fondamentale, sempre più viaggiatori cercano anche esperienze relazionali”. Anche poter decidere in che modo vivere l’albergo può creare stupore.

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