Progettare è un percorso, un’idea da sviluppare dall’inizio alla fine dove è indispensabile il lavoro di gruppo. È un sentiero che acquisisce concretezza e profondità strada facendo, fino a diventare un prodotto ‘chiavi in mano’. Ecco perché si arriva sempre a una realtà unica che mostra la grande originalità.

Proprio per questo l’architetto Lukas Rungger, founder dello Studio NOA, in questa intervista con InOut Review non usa mai la prima persona singolare: l’‘io’ è sostituito dal ‘noi’. Un racconto che apre il primo sfoglio del nostro magazine, che va sempre alla ricerca dei personaggi che popolano l’industria dell’ospitalità.

Siete soliti dire che l’architettura non nasce dal nulla, ma accade, mettendo insieme vari componenti già presenti. Come nasce un’idea di NOA?

Un progetto è sempre il risultato di diversi stimoli che si incontrano: lo storia del committente, la Baukultur di un luogo, la sensibilità del progettista, il budget a disposizione, le normative locali, la Soprintendenza e così via. Progettare è un viaggio in cui ci si trova costantemente di fronte a nuovi bivi e possibilità, e il risultato è sempre diverso. Una frase che amiamo sentirci dire è: “Cosa ha combinato NOA questa volta?”.

Rifiutando l’idea di cifra stilistica, ogni nostro progetto porta con sé un elemento di sorpresa, di inaspettato, che è quello che il progettista NOA fa: interpretare ogni luogo con uno sguardo unico e originale. Ne è un esempio il progetto Hub of Huts, per cui abbiamo lavorato sulla linea dell’orizzonte, sovvertendola. Ma anche, per citare un esempio di interior design, Aeon, dove una netta linea di demarcazione tra beige e blu caratterizza tutti gli spazi, rendendo tangibile l’incontro tra due generazioni.

Il vostro studio include sia architetti, sia interior designer. Riuscite a tenere insieme “energie” diverse?

Non uniamo solo architettura e interior design, spesso ci spingiamo fino al product design! Ciò che per noi è importante è sviluppare un’idea progettuale dall’inizio alla fine, in modo che il progetto acquisti profondità e coerenza. Per esempio, nel progetto di Monastero ad Arco l’ospite noterà, o forse, ancor meglio, gli sembrerà naturale, l’essenzialità che accomuna l’intervento architettonico, la progettazione delle stanze e le lampade realizzate ad hoc, la collezione Silente, in piena continuità con il concept architettonico. Ogni pezzo del nostro lavoro progettuale racconta una storia, specialmente nell’hospitality.

Il Manifesto Noa è un modo per distinguersi o la voglia di raccontarsi?

Nel nostro manifesto abbiamo toccato tutti i punti per noi fondamentali, emersi in questi 13 anni di pratica architettonica: dal desiderio di fare una narrazione attraverso l’architettura, alla ricerca di sinergie con il territorio, dall’interdisciplinarietà fino al nostro approccio al mondo rurale e urbano. Ciò che vogliamo sottolineare è la necessità di redigere un manifesto che dichiari la nostra posizione, essendo la professione dell’architetto intrinsecamente politica.

Quali sono i valori per voi irrinunciabili in un progetto di hospitality?

Più che valori irrinunciabili, per noi è irrinunciabile lavorare su idee autentiche, insieme a una committenza aperta a esplorare possibilità creative all’interno del progetto. È proprio questa varietà che rende il nostro lavoro così stimolante: la possibilità di affrontare, ogni volta, progetti unici in contesti straordinari.

Avete svolto interventi su edifici storici preesistenti. Quanto è difficile conciliare un’architettura che deve raccontare una storia con le esigenze dell’hospitality?

Non è un compito facile, come abbiamo sperimentato a Monastero, ma anche nel progetto dell’hotel Goldene Rose a Dinkelsbühl, Germania. Sono strutture costruite secoli fa in pietra e mattoni e sono tutelate dai beni culturali. Tuttavia, crediamo che una forte visione progettuale, la perseveranza e un team competente permettano di trovare sempre soluzioni costruttive adatte. Per esempio, per Monastero abbiamo ancorato il solaio del secondo piano al tetto, mentre le lampade Silente sono nate dalla necessità di illuminare le volte senza poter fare le tracce nei muri. Siamo convinti che i viaggiatori contemporanei non siano mai sazi di queste storie! E, dal punto di vista del patrimonio costruito, è fondamentale valorizzare ciò che ci è stato consegnato dal passato.

Architettura mimetica e sostenibile: oltre all’Olympic Spa Hotel ci sono altri progetti di interscambio tra natura e architettura?

La natura è una componente essenziale in tutti i nostri progetti. Ci siamo spesso confrontati con il tema del wellness e, quando parliamo di benessere, la natura rappresenta una risorsa preziosa. Forse in questo senso il nostro progetto-manifesto è l’Apfelhotel Torgglerhof, un hotel immerso nei meleti in Val Passiria. Qui, abbiamo reinterpretato la tradizionale tipologia rurale a corte dell’Alto Adige, assegnando a ciascun volume sparso nel paesaggio una funzione specifica, ma in un nuovo contesto dedicato all’ospitalità. I due nuovi edifici, concepiti come volumi a forma di calotta interamente coperta da manto erboso, diventano un tutt’uno con l’ambiente naturale.

Tanti lavori e idee, in Italia e all’estero. Quali avete nel cuore?

Oltre al già citato Apfelhotel Torgglerhof, uno dei progetti a cui sono più legato è Messner House, il primo progetto a cui io e Stefan (Stefan Rier, founder dello studio insieme a Rungger ndr) abbiamo lavorato come NOA (anche se il cantiere si è chiuso solo nel 2017). È la casa personale di Stefan Rier, concepita con una dicotomia affascinante: l’esterno richiama fortemente la tradizione, mentre gli interni sorprendono con volumi sospesi e soluzioni architettoniche innovative. E poi vorrei inserire in questa lista anche Monastero, un’opera davvero unica nel suo genere. È stata una fortuna e un privilegio poterci lavorare.

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