“Non mi sento obbligata a uscire di casa per cercare idee. A volte si nascondono ovunque”. In questa lunga intervista Paola Navone mostra volti diversi della sua arte. Pare a tratti disinteressata quando racconta dei suoi progetti, ma è solo un’impressione che si dilegua subito. Non è snob, sprizza energia e quando si parla di archistar sbotta con un sorriso: “Io non mi definisco in nessun modo e tantomeno archistar”.

In questo incontro milanese per l’intervista di InOut Review siamo andati a casa dell’architetto che ha lavorato e viaggiato molto in Oriente. Navone ci accoglie nel suo ufficio di via Tortona, dove le riviste dominano ancora, tra scaffali zeppi di vecchi libri e giornali.

Subito dà l’impressione di mettere spazio tra lei e il giornalista. Ma è solo un attimo. Qualche istante dopo si apre in un sorriso. Adesso sembra pronta, pare aver voglia di raccontare e di raccontarsi.

Parliamo del suo lavoro, della passione che vuole trasmettere?

L’architettura non è la mia passione, è solo il mio lavoro. Potevo fare altri mestieri, faccio l’architetto. La mia passione vera è l’acqua. Il mare mi piace, mi attira sempre, tutti i giorni.

Sorride Paola Navone. Improvvisamente appare diversa dalla descrizione che ne fanno di archistar, “non mi sento affatto star”.

Come si definisce allora?

Non mi definisco. Non sta a me descrivermi. Faccio i progetti e li finisco. Basta. Nascono da informazioni che raccolgo 24 ore su 24. È un viaggio mentale continuo.

Per me tutto è fonte di idee. Sia se giro a Bangkok o nelle corsie dell’Esselunga di Milano. Mi muovo sempre con lo stesso approccio mentale.

E girando tra gli scaffali dell’Esselunga cosa vede?

C’è gente che viaggia anche rimanendo a casa, non lo dimentichiamo. Io al supermercato trovo spunto vedendo come viene presentata la merce, per esempio. Se vuole anche quella è una forma di design.

Ritorno alla prima domanda. Se il lavoro non è passione, cosa la rende così positiva?

Mi piace mangiare, cucinare e il mare. E aggiungo che la cucina mi trasmette idee. Comunque l’acqua, il mare, se vogliamo è la mia grande unica passione. Mi manca il Grande Nord da esplorare, ma per il momento non mi sento attratta o ispirata. Fa troppo freddo da quelle parti.

 

l’Inferno Room del 25hours Hotel Florence di Piazza San Paolino

l’Inferno Room del 25hours Hotel Florence – credits Dario Garofalo

Parliamo di alberghi di alta gamma. Il lusso per lei che cosa significa?

Il progetto e lo stile. Guardo la qualità del posto, la gestione della struttura e la sua raffinatezza. Mi aspetto unicità in tutti gli aspetti. Deve essere anche un hotel sofisticato.

Tra architetto e proprietà come si trova il modo di andare d’accordo?

Aggiungo che se, in mezzo, tra architetto e proprietà troviamo anche la società di gestione il divertimento è garantito. In alcuni casi ho fatto fatica a fare passare le idee, perché dall’altra parte non ho trovato grande interesse e ho dovuto spiegarlo con la massima attenzione e disponibilità. Abbiamo sempre bisogno di qualcuno che faccia il percorso con noi.

Negli ultimi tempi stiamo assistendo a una grande rivoluzione degli interni. Alberghi che vanno alla ricerca della sola fascia lusso…

Diciamo che adesso sta esplodendo il mercato e in giro si vede un po’ di tutto. Non è una critica, ma un pensiero.

Forse per molti anni tanti hotel non hanno subito lavori di ammodernamento. Ora c’è la corsa all’architetto non crede?

Paola Navone si apre in un grande sorriso prima di ricordare anche la sua giovinezza n.d.r.

Ora in molti si rifanno il trucco dopo decenni di gestione familiare. Tutti hotel che, un po’ per scelta, un po’ per necessità erano fermi al passato. Ricordo ancora le mie estati in Liguria, a Varigotti. Ora anche da quelle parti stanno ristrutturando e mettendo in piedi progetti interessanti.

Il San Paolino Restaurant del 25hours Hotel Florence - credits Dario Garofalo

Il San Paolino Restaurant del 25hours Hotel Florence – credits Dario Garofalo

È legata in modo particolare a qualche progetto?

Direi di no. Il progetto mi piace quando prende il via, mi appassiono e poi quando è finito sono già concentrata su quello successivo. È il mio modo di lavorare, non ci vedo nulla di strano in questo.

Però quando parla di Asia si illumina…

Quando parlo di Oriente ripenso alla libertà estrema delle idee, un’area dove ho lavorato per molti anni. Ho visto tanta ricchezza, ma non penso al denaro. Abbiamo fatto progetti 100% con materiale tailandese, per esempio. Dalle piastrelle ai mobili, dal tessile ai pavimenti. È stato meraviglioso e divertente, perché ci vuole sempre una bella percentuale di divertimento. Questa è la ricchezza.

A proposito di divertimento, nel suo lavoro quanto riesce ancora a divertirsi?

Ho sempre mille pensieri in testa e mi piace raccontarli, quando arrivo in ufficio, ai miei collaboratori. Da quei pensieri loro riescono a sviluppare progetti. Diciamo che sono fortunata nella vita. Però voglio svelarle un pensiero. Vorrei essere un pesce e fare tante cose nel mare. Lo sa che di notte sogno luoghi e Paesi, ma dimentico tutto al mattino. Peccato, avrei potuto fare 100 film…

Lei sostiene che per progettare case bisogna essere anche uno psicologo…

Fare case è un altro mestiere, perché devi fare veramente lo psicologo e l’amico di famiglia. Per alberghi e ristoranti, invece, se ti accordi subito fili veloce, altrimenti soffri un po’. Cosa mi aveva chiesto a inizio intervista?

Se la definiscono archistar è contenta? Si sente di fare parte di questa pattuglia ristretta di professionisti?

Non mi sento parte di questo. Il mare è la mia anima.

Il Thai Restaurant del COMO Point Yamu Hotel - ph. Enrico Conti

Il Thai Restaurant del COMO Point Yamu Hotel – ph. Enrico Conti

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