C’era una volta un Paese che usciva a fatica dalle macerie della guerra. Era il 1954 e l’Italia cercava se stessa tra officine, studi d’architettura, piccole botteghe e fabbriche che iniziavano a sognare in grande. Ed è proprio in quel frangente, quando il Made in Italy era ancora un traguardo lontano persino da immaginare, che c’era chi quella visione la intravedeva con chiarezza: Gio Ponti, architetto, designer, visionario editore di Domus e archistar ante litteram. Uno capace di riconoscere la bellezza ovunque: in una moka da caffè, in una sedia pieghevole o in un grattacielo. Insieme ai magazzini La Rinascente – allora più avamposto culturale che tempio del consumo – decide di dare vita a un premio che potesse anche guardare oltre l’estetica. Un riconoscimento all’intelligenza delle cose ben fatte.
Era il battesimo del Compasso d’Oro, oggi celebrato tra le pagine dei due volumi monumentali editi da Treccani. Oltre mille pagine e più di duemila immagini tra disegni, fotografie, modelli. Un archivio visivo e narrativo che restituisce l’anima di un’epoca, l’eco di un contesto che va ben oltre il prodotto, per toccare la società.
Una collezione riconosciuta bene di eccezionale interesse storico-artistico, oggi custodita nell’ADI Design Museum, luogo dove passato e presente del design si incontrano e si confrontano. Un racconto che attraversa un mondo in cui il design non è solo forma, ma linguaggio. Non solo oggetto, ma cultura. Un racconto che attraversa un mondo in cui il design non è solo forma, ma linguaggio. Non solo oggetto, ma cultura. Non solo stile, ma industria e visione.
Sette sezioni tematiche, un tempo scandito da progetti premiati, linee del tempo inedite, schede critiche, contributi autoriali. Un percorso che indaga il design come fenomeno culturale e sociale. Come specchio di un’Italia che è cambiata anche attraverso la produzione industriale. Perché sì, in quelle pagine c’è la storia d’Italia. C’è quella della Lettera 22 di Olivetti, della Mirella della Necchi, dell’Eclisse di Magistretti, della Parentesi di Castiglioni e Manzù. Ma c’è anche la Fiat 500, l’icona del boom economico, capace di motorizzare l’Italia con leggerezza e intelligenza progettuale.
Pezzi che hanno cambiato il nostro modo di vedere le cose. E soprattutto il nostro modo di stare al mondo. Un archivio vivente della cultura materiale italiana. Un patrimonio che continua a parlare. E continua a farlo con forza.
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