Entro in camera. Pochi passi e mi avvolge un profumo fresco, che mi trasporta con l’immaginazione in un giardino fiorito che torna a respirare dopo un acquazzone. Mi guardo intorno e la vista trova riposo nei colori caldi e naturali degli arredi e dei mobili, tocco le coperte e i tessuti e sento la morbidezza delle trame. So perfettamente di non essere a casa, ma i miei sensi mi dicono che mi trovo in un posto sicuro, in un ambiente che si sta prendendo cura di me. Ecco, la camera perfetta esiste, ed è quella che ci fa sentire a nostro agio, quella in cui tutti gli elementi convergono verso un unico obiettivo: il benessere dell’ospite.
Un termine che, secondo l’architetto Andrea Auletta, ha ormai sostituito la parola lusso. “Quando progetto – ci spiega – penso principalmente al benessere delle persone, il che si traduce in spazi ampi con meno elementi di arredo ma estremamente confortevoli, materiali naturali e una grande attenzione del percepito: materasso, lenzuola, climatizzazione, insonorizzazione e tutto ciò che è tattile”.
Le essenze naturali riportano alla memoria l’ambiente esterno in un continuo rimando tra ‘in’ e ‘out’ che ha come elemento cardine il green: “Mai come in questo momento la natura è fonte di ispirazione e dialogo con le strutture – osserva l’architetto Silvia Giannini -. I temi del rispetto del pianeta, della naturalità, del bio sono un must per la progettazione anche nell’hospitality: la natura entra nelle camere e le grandi vetrate garantiscono un contatto visivo con il paesaggio esterno”.
“Sempre più spesso – conferma l’architetto Riccardo Emanuele fondatore, assieme all’architetto Samuel Balasso, di Ncbarchitettura – cerchiamo di realizzare camere che abbiano un rapporto con l’esterno recuperando terrazze e balconi, che curiamo con la stessa attenzione degli spazi interni”. L’outdoor assume, quindi, una rilevanza fondamentale nella qualità percepita dell’offerta ma, avverte Emanuele, “il verde non dev’essere una forzatura, bensì una forma di gentilezza ben progettata. Nel caso – aggiunge – della nostra esperienza nella realizzazione delle suite in vigna a Le Fabbriche (Maruggio) o le spa-room del Relais Histò di Taranto, in collaborazione con Culti, abbiamo portato dentro quello che abbiamo trovato fuori e le stanze altro non sono che una ‘camera ribaltata’ con la focale aperta sul paesaggio”.
Dello stesso parere la designer Francesca Grassi: “Sì alle essenze naturali, che migliorano il microclima interno, mentre invece il verde lo trovo più adatto agli ambienti comuni, in cui è possibile anche ‘invadere’ tutto lo spazio creando immagini spettacolari. Per quanto riguarda le camere lavorerei, invece, sullo spazio che si crea tra l’esterno e l’interno, finestre o terrazze e bow-window”.
L’importanza del green
Il green diventa elemento progettuale perché può anche contribuire ad ampliare la percezione dello spazio: “Il mio consiglio – dice l’architetto Anna Gatti – è portare un accenno di verde all’interno, con poche piante e fiori recisi, e poi valorizzare al massimo i terrazzi”. Fondamentale per lei anche la scelta di tessuti, arredi e finiture che, specifica, “non dev’essere operata solo in senso stilistico, ma deve garantire l’idea di pulizia e freschezza”.
Idea che si concretizza nel diradamento di arredi e rivestimenti per puntare a uno stile più essenziale che, aggiunge Gatti, “consente di ottenere la percezione di uno spazio ‘fresco’ e sicuro e permette all’albergatore di enfatizzare la connotazione di igiene e benessere della struttura”.
Il tessuto stesso può diventare, nelle mani degli architetti, una materia preziosa: “Io – racconta l’architetto Simone Micheli – amo tessuti monocromatici e antidecorativi, che siano ‘vivi’ attraverso l’esaltazione della propria materia, in relazione alla luce e alla giustapposizione con altri elementi”.
A prevalere sono, però, le tonalità naturali: “Dopo anni di minimalismo – sottolinea l’architetto Carlo Donati – e dopo la riscoperta del colore polveroso e avvolgente, attraversiamo ora una fase di attenzione e riscoperta delle tinte pastello”.
Un ‘cocoon’ avvolgente
Colori tenui, dunque, ma anche materiali naturali, superfici di appoggio estese, armadiature ridotte e anche, come spiega Gatti, “un uso accurato dei tessuti e degli imbottiti che si limiti all’essenziale”. No, invece, all’eccesso di cuscini, tendaggi e tessuti soprattutto sui letti: “La prima cosa che fanno gli ospiti è spostarli nell’armadio”.
E quando il ‘less is more’ va oltre l’eliminazione del superfluo la camera si trasforma in un ‘cocoon’ avvolgente. Questo il concetto alla base del progetto #dream che Francesca Grassi Designer ha presentato nell’edizione 2023 di InOut e che parte dalla necessità di massima flessibilità dell’ambiente per adeguarsi alle diverse esigenze degli ospiti: “La camera – spiega Grassi – è delimitata da una tenda chiara e drappeggiata che ne definisce le pareti creando spazi d’uso ma, al contempo, nascondendoli in un nido confortevole”.
Aggiungendo altri tendaggi anche in maglie metalliche o in materiali di recupero, spiega l’architetto, si possono separare o unire gli ambienti facilmente. “Una camera d’hotel non è più una scatola da riempire con pesanti apparati difficili poi da smaltire – evidenzia Grassi -, ma è essa stessa esperienza. Dal mondo del tessile, tipico delle culture nomadi, nasce l’ispirazione per ambientazioni confortevoli, inedite. Una reinterpretazione della tenda nomade con tappeti e tessuti preziosi che organizzano lo spazio in maniera leggera”.
Sul concetto di flessibilità insiste anche Donati: “La definizione di spazi ibridi – sostiene – è oggi prerogativa centrale per la progettazione alberghiera. Le soluzioni più interessanti per le stanze indagano e sviluppano il tema della flessibilità prevedendo elementi di arredo che trasformano la zona lounge e relax della suite in un confortevole ufficio contemporaneo con piani estraibili e arredi posizionabili, cui si aggiungono necessariamente pannelli fonoassorbenti e fonoisolanti. Oggi esistono diversi prodotti che abbinano necessità funzionali ed estetiche”.
“Le strutture ricettive – gli fa eco Micheli – devono divenire sempre più flessibili, ibride e contaminanti. Progettare, per me, significa agire a 360 gradi; la chiave sta nell’uso di soluzioni flessibili e tecnologie avanzate, per permettere una rapida riconfigurazione degli spazi. Il vero lusso è nella cura del dettaglio, nell’organizzazione e nella generazione di un’esperienza individuale”.
La camera fluida
La camera diventa, perciò, un ambiente fluido, semplice, tessile e riconfigurabile: “La sfida – sostiene Grassi – è usare materiali provenienti da economia circolare – aspetto che interessa sempre di più i clienti -, ma allo stesso tempo molto raffinati, che ciascuno può personalizzare nelle giornate in cui abita la stanza. Io mi sono ispirata alla cultura nomade, che da secoli unisce lusso e leggerezza. Un ambiente così si adegua a fasce trasversali di clientela”.
Sull’estremizzazione della multifunzionalità delle camere è invece critico Riccardo Emanuele: “La bellezza – ci spiega – non è mai un compromesso. Questo non vuol dire che gli spazi debbano essere poco versatili, ma il target deve risultare chiaro. Una stanza capace di espandere la propria funzione potrebbe avere senso quando si hanno pochi ambienti, mentre invece nel caso degli hotel più grandi il loro compito è definire la linea e la posizione della proposta e intercettare il proprio target. L’ospite dev’essere in ogni caso al centro del progetto: intorno alle sue esigenze fisiche ed emozionali va cucita la narrazione progettuale”.
Anche Auletta è scettico sulla flessibilità fine a sé stessa: “Indubbiamente – sostiene – le strutture devono essere il più possibile trasversali, ma senza che questo le porti a perdere identità e carattere. Penso infatti che gli hotel debbano essere sempre di più dei pezzi unici, location che rispettino il luogo che le accoglie e siano un’esperienza per l’ospite”.
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